Cioccolato, che passione!
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Riflettiamoci un attimo. Dalle feste natalizie appena trascorse, passando per il Carnevale che sta per entrare nel vivo, fino alla domenica di Pasqua, c'è un protagonista ricorrente in tavola: il cioccolato. Sotto varie forme e tipologie di ingrediente, dalle più classiche alle più ardite ricette, non solo dolci. Ebbene: questo prodotto in realtà ha una storia intrigante e le tradizioni popolari legate ad esso, anche della nostra gastronomia, sono in presa diretta con le origini stesse delle civiltà. Non a caso il cioccolato era definito il cibo degli dei e ancora oggi lo osanniamo attribuendogli poteri quasi taumaturgici.
Le mie parole sembrano troppo ardite per un argomento così profano? Allora rilassatevi, concedetevi qualche minuto di pausa e provate a seguirmi lungo la Via del Cacao…
Alle origini del desiderio
Cacao, cioccolato, cioccolata: tutti sinonimi? Assolutamente no, ma per ora sorvoliamo: ne parlerò approfonditamente la prossima settimana.
E allora: da dove arriva questo bendiddio?
Le prime coltivazioni sono antichissime, risalenti probabilmente a 6000 anni fa, nelle terre lungo il Rio delle Amazzoni e l'Orinoco, di cui però si è persa ogni traccia storica. Solo ricerche etnobotaniche recenti stanno consentendo di retrodatare il primo utilizzo dell'albero di cacao.
È nell'epoca precolombiana, 1000 anni prima di Cristo, che abbiamo le prime documentazioni accertate delle pratiche agricole, per opera dei Maya e poi degli Olmechi e degli Aztechi.
Il nome "cacao" deriva da un fonema di popolazioni locali che indicavano l'albero con la parola "kakaw"; successivamente i Maya, che impararono a degustare il prodotto dei semi con acqua calda, modificarono il termine in "chacauhaa" o "chocolhaa", associandovi la parola "haa", acqua. La parola Maya "chocol" offre ai Conquistadores spagnoli la possibilità di identificare i preziosi semi importati in Europa con il neologismo "chocolate", da cui la traduzione, cioccolato, straordinariamente simile in tutte le matrici linguistiche europee. Gli Aztechi, invece, triturandoli assieme a vaniglia e ad altre spezie, ricavavano una bevanda che nella loro lingua veniva chiamata "xocoatl".
Le cronache narrano che Colombo rientrò dalle Americhe in Spagna nel 1504 dopo il suo ultimo viaggio, riportando i semi di uno strano albero tropicale, i cui frutti crescevano a grappolo sul tronco e sui rami.
I semi macinati non ebbero successo nel Vecchio Mondo, probabilmente per il sapore eccessivamente forte del prodotto puro, fino al 1518, anno in cui l'esploratore Cortéz lo introdusse massicciamente sul mercato, giungendo in Spagna con un enorme carico di cacao donatogli dall'imperatore Montezuma.
Per il primo carico commerciale di cioccolato, documentato da bolle di trasporto, bisogna attendere il 1585, destinazione il porto di Siviglia.
Il gusto troppo intenso della bevanda fu ben presto addolcito dalla tradizione erboristica dei monaci benedettini spagnoli che aggiunsero alle ricette zucchero e vaniglia, in sostituzione degli ingredienti secondari tipici delle ricette Maya, come il peperoncino, il miele di agave, la farina di mais e l'onoto (Bixa orellana L., da cui l'annatto, un colorante alimentare naturale). Fino al 1600 la bevanda è un prodotto locale della Spagna e gli agricoltori iberici incrementarono la coltivazione dell'albero, acclimatando il cacao all'Europa. Nel 1660 la principessa spagnola Maria Teresa sposò in Francia il Re Sole, Luigi XIV, e divenne accanita consumatrice di cioccolato, snobbato dalle cortigiane per il suo strano odore; la passione della regina fu premiata con l'invenzione delle "chocolaterie", ossia le fabbriche di cioccolato, per la produzione di tavolette solide da sciogliere in acqua. È agli inizi del 1700, invece, che un commerciante fiorentino introduce la polvere di cacao in Italia, aprendo le porte ad un più vasto commercio. In questo secolo l'inventiva italiana, precisamente in terra di Venezia, crea le "botteghe del caffè", in cui si serviva anche cioccolato, contribuendo così alla sua diffusione popolare.
Nel 1828, finalmente, un olandese brevettò il processo per separare la polvere di cacao, ottenuta dai semi arrostiti, dalla componente grassa che serviva invece per produrre il burro di cacao.
Giunto come curiosità esotica, il seme, la polvere e i loro derivati diventano protagonisti di importanti rotte commerciali, il cui predominio passa dalle mani degli Spagnoli a quelle degli Olandesi, fino alla nascita di due blocchi contrapposti: l'Africa e il Brasile come Paesi produttori e l'Europa e gli Stati Uniti come importatori.
L'albero del cacao
Il cacao è un albero tropicale, il cui nome scientifico indicato dal naturalista Linneo è Theobroma cacao e significa "alimento degli dei". Appartiene alla famiglia botanica delle Sterculiacee. Il genere originò nei boschi umidi dei tropici, tra le Ande, l'Ecuador e la Colombia: da quest'area migrarono due gruppi di specie, il Theobroma cacao sottospecie sphaercarpum (e specie correlate), il cui areale si estese verso i fiumi Orinoco e Rio delle Amazzoni fino alla Guyana, e il gruppo del Theobroma cacao sottospecie cacao, che giunse a nord, fino al Centro America e al Messico, dove fu addomesticato da Maya e Atzechi, i quali lo utilizzavano come alimento ma anche come moneta di scambio. Oggi è coltivato in diverse regioni tropicali, tra i paralleli 20° Nord-Sud, ma ad un'altitudine più bassa rispetto alla specie selvatica.
Attualmente esistono in commercio tre tipologie principali di semi: la varietà americana, soprattutto la messicana e il "Bahia" brasiliano che viene coltivato anche in Colombia ed Ecuador; la varietà asiatica, dall'Indonesia e dallo Sri Lanka; la varietà africana, coltivata in Ghana, Nigeria, Camerun, Costa d'Avorio e nell'isola di Madagascar.
L'albero del cacao può raggiungere i 10 metri di altezza e presenta dei piccoli fiori rosati, attaccati in gruppi direttamente ai rami e al tronco. I frutti sono definiti cabosse e sono lunghi fino a 25 centimetri, di forma ovale e con buccia spessa; contengono una polpa giallastra che accoglie fino ad un centinaio di semi duri e secchi, di colore rosso violaceo. Sono proprio questi semi che vengono tostati e che contengono burro di cacao, amidi, proteine, polifenoli, zuccheri, olio essenziale, vitamine del gruppo B ma soprattutto alcaloidi.
Perché ci piace tanto?
Incredibile a dirsi ma esistono fior di studi farmacologici che stabiliscono un nesso tra il cibo degli dei e la nostra golosità, voglia e attrazione per il cacao.
Sono state identificate più di 800 componenti biologicamente attive e tra queste è interessante notare la presenza di teobromina, ad azione blandamente psicoattiva; di feniletilammina; di anandamide, un cannabinoide prodotto naturalmente dal nostro cervello, ossia un neurotrasmettitore: ha gli stessi effetti dei composti psicoattivi presenti nella cannabis e quindi è responsabile a dosi fisiologiche delle sensazioni di benessere; sono inoltre presenti caffeina, un altro alcaloide naturale, e triptofano, precursore di due neurotrasmettitori importanti quali serotonina e melatonina. Tutte queste componenti indicano che l'azione stimolante sul sistema nervoso centrale è stata maliziosamente associata da Madre Natura ad un gusto accattivante e seducente.
Sono dimostrati inoltre effetti benefici a carico dell'apparato cardiovascolare, dell'umore in genere (con attenuazione delle crisi di depressione) e – sembra – dell'attività sessuale con aumento del desiderio, da cui miti e leggende (ma saran proprio tali?) sui poteri afrodisiaci del cioccolato.
Curiosi di saperne di più? Concedetemi qualche giorno di sana suspense e la prossima settimana cercherò di svelare i segreti di alcune ricette, dolci ma anche salate, attuali ma soprattutto antiche, a base di cacao.
Nel frattempo, consiglio a chi proprio non resiste di correre al più vicino videostore e noleggiare il film "Chocolat": l'attesa sarà… più dolce.