Il tartufo
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La biologia
Forse non tutti sanno che i tartufi sono funghi ipogei (cioè che crescono e si sviluppano nel sottosuolo), appartenenti alla divisione degli Ascomiceti, un gruppo comprendente oltre 15.000 specie di funghi. Nello specifico fanno parte della famiglia delle Tuberaceae e in particolare appartengono al genere Tuber e ad alcuni altri generi correlati.
La parte commestibile del tartufo è il corpo fruttifero del fungo, contenente le spore racchiuse in particolari strutture a sacco dette aschi, visibili solo al microscopio.
Essendo confinate nel terreno, le spore non possono essere disperse dal vento o dall'acqua come accade per molti altri funghi. La riproduzione dei tartufi è allora affidata agli animali (cinghiali, lumache, piccoli mammiferi, insetti) che, attratti dall'odore intenso del fungo, se ne cibano diffondendo in tal modo le spore. Alcune strategie riproduttive richiedono dispersori specifici, ad esempio la dispersione delle spore del tartufo bianco è legata ai roditori che scavano gallerie nel terreno, altre sono più generiche.
Tutte le specie di tartufo formano micorrize con piante forestali, cioè coesistono sulle radici di alcuni alberi ricavandone reciproco beneficio: ad esempio, querce, pioppi, salici e tigli per il tartufo bianco o anche pini e ginepri per il tartufo estivo o scorzone.
Le specie pregiate
Tra le varie specie (circa una cinquantina) di tuberacee, solo poche sono pregiate per le loro qualità organolettiche. In particolare sono da menzionare il tartufo bianco (Tuber magnatum) e la sua varietà pico (tartufo d'Alba), il tartufo nero (Tuber melanosporum), il tartufo invernale (Tuber brumatum), e lo scorzone (Tuber aestivum). Da ricordare anche la Terfezia arenaria, o tartufo delle sabbie, il tartufo dei greci (che lo chiamavano hidnon) e dei romani, ancora oggi molto ricercato nei paesi arabi.
L'habitat
Il tipo di suolo e di albero dove vivono i tartufi cambia da specie a specie. Ad esempio, il tartufo nero cresce in terreni calcarei rossi, mentre il tartufo bianco predilige i suoli acidi come quelli argillosi o marnosi. I tartufi convivono inoltre con varie specie di alberi, alcuni dei quali, come la quercia, possono creare simbiosi con molte specie, mentre altre piante convivono solo con una specie particolare di tartufo. Il tartufo delle sabbie, ad esempio, cresce solo con piantine del genere Cistus ed Helianthemum. Un altro fattore influente è lo strato di foglie morte nei boschi: acidificando il terreno, sfavoriscono la crescita del tartufo nero, che così crescerà solo ai bordi del bosco ma non penetrerà all'interno dove lo strato di humus è maggiore.
La raccolta
La coscienza ecologica impone di sottolineare che la raccolta intensiva e indiscriminata dei tartufi può essere dannosa per l'habitat boschivo in quanto il rivoltamento, rastrellamento e sollevamento della lettiera nelle aree tartuficole può alterare il delicato equilibrio ecologico di molte altre specie magari a rischio. E' quindi importante usare delle strategie specifiche che siano ecocompatibili. Il sistema più classico di ricerca del tartufo si basa sull'uso dei cani o dei maiali. L'uso dei maiali non prevede addestramenti particolari dell'animale ma è in abbandono in quanto sono lenti e disubbidienti. I cani invece devono essere addestrati sin da giovanissimi e non cominciano in genere prima degli 8-15 mesi. Con l'uso dei cani, tuttavia, si perdono numerose specie, come le rare Endogonaceae.
Sistemi alternativi si basano su osservazioni ecologiche. In corrispondenza dell'area di crescita di un tartufo nero, ad esempio, si osserva una chiazza senza erba. Questo fungo infatti produce delle sostanze che bloccano la crescita delle specie erbacee riducendo la competizione per i nutrienti del suo albero simbionte. Un altro sistema è l'osservazione della presenza di una piccola mosca gialla e nera, la Helomyza tartufifera, le cui larve si sviluppano nei tartufi maturi. Da dicembre a marzo la mosca deposita le sue uova per terra esattamente in corrispondenza di un tartufo, per cui osservare una mosca involarsi dal terreno è in generale indice della presenza del fungo.
La coltivazione
Nei primi anni del XIX secolo un coltivatore francese, un tale Talon, seminò delle ghiande per rimboschire un terreno. Qualche anno dopo, in quello stesso terreno, Talon raccolse tartufi neri in abbondanza. Gli venne così in mente una possibile associazione tra le ghiande ed i tartufi e comperò altri terreni incolti e sassosi che seminò con ghiande raccolte da querce tartufigene. Ebbe così inizio la prima coltivazione di tartufi. Oggi la coltivazione si esegue con criteri scientifici, sterilizzando le ghiande e mettendole in contatto solo con le spore del tartufo. Quando si sviluppa la piantina, in un sacchetto sigillato, l'unica possibilità di formare delle micorrize sarà con le ife del tartufo. A questo punto l'alberello viene piantato in un terreno adatto e coltivato per una decina di anni prima della prima raccolta di tartufi.
Sfortunatamente, al momento, questa è l'unica specie coltivata e ciò, più la difficoltà della ricerca, spiega l'elevato costo di altre specie di tartufi: a New York una patata arrostita condita con una spolverata di tartufo bianco italiano arriva a costare 200$!
Il mito e la realtà dell'odore
La fama dei tartufi è anche legata al loro odore particolare, che viene ritenuto afrodisiaco. La sostanza responsabile di tale odore è il bismetiltiometano, che ad alte concentrazioni odora di senape, insieme ad altri composti a base di zolfo come il dimetilsolfuro, che ha un odore simile a quello del gas combustibile. L'odore risultante di queste sostanze ricorda l'odore di un ormone sessuale maschile, l'androsterone, che si ritrova ad esempio nel sudore e fa parte, tra l'altro, di quella categoria di sostanze chiamate feromoni responsabili dell'attrazione sessuale. La differenza biochimica tra le due categorie di molecole ci porta ovviamente ad escludere che mangiare tartufi accresca le capacità amatorie, ma di sicuro il loro odore può essere suggestivo.
Essendo una molecola relativamente semplice, il bismetiltiometano è stato sintetizzato in laboratorio e viene usato come aroma artificiale di tartufo in molti cibi commerciali, come salse o patè. Anzi, la molecola artificiale è stabile, mentre quella naturale è più volatile e per poterla apprezzare al meglio è buona norma usare sostanze grasse come burro o formaggio in cui la molecola si scioglie.
Per saperne di più
Garnweidner, E., (1985) Mushrooms and Toadstools. Collins, London
Pace, G., (2001) I Funghi. Mondadori, Milano
Pacioni, G. (1980) Funghi. Orsa Maggiore Editrice, Milano
Rambelli, A., Pasqualetti, M., (1996) Nuovi fondamenti di micologia. Ed. Jaka Book, Milano
http://www.plantnames.unimelb.edu.au/Sorting/Tuber.html